Tecnologie di Comunicazione e cittadinanza

di Marco Guastavigna

[pubblicato in Insegnare 10/96]

Il Ministro della Pubblica Istruzione Berlinguer ha espresso l'intenzione di introdurre a scuola come insegnamento aggiuntivo generalizzato l'alfabetizzazione informatica. Da più parti ciò è stato giudicato un disegno di grande importanza e molto promettente, a me pare piuttosto che rischiamo di trovarci di fronte a un'occasione sprecata.

Riferire e ancorare la formazione, certamente necessaria, di una estesa cultura tecnologica a concetti come alfabetizzazione, vuoi "informatica", vuoi "telematica", o come "apprendimento dell'uso del personal computer", cioè a nozioni e a procedure operative, è innanzitutto sostanzialmente inutile, se si considera l'evoluzione delle tecnologie e dei software, sempre più orientate a presentare all'utente interfacce amichevoli e sempre meno bisognose di istruzioni specialistiche. In secondo luogo, e soprattutto, significa focalizzare gli aspetti tecnici, ignorando o subordinando tutti i problemi cognitivi e sociali collegati all'uso di Tecnologie di Comunicazione che:

a) sono interfacce interattive per l'accesso all'informazione e per la sua elaborazione;

b) hanno una diffusione sempre più ampia  e rapida;

c) sono destinate a influire in misura via via maggiore sui processi di conoscenza, di percezione e di "rappresentazione del mondo"(1).

 

Un'analisi delle conseguenze della prima caratteristica chiarisce quali aspetti cognitivi siano in gioco: usare efficacemente un'interfaccia interattiva -essere davvero autonomo- significa saper riconoscere inviti operativi, sensi e scopi rappresentati e proposti dalla macchina e situati in contesti significativi. Mentre la prospettiva dell'alfabetizzazione spingerebbe il soggetto a porsi domande centrate sull'oggetto in sé ("Cos'è? Cosa fa? Qual è il suo funzionamento?"); quella dell'autonomia nell'uso delle Tecnologie di Comunicazione sollecita cioè a esplorare un ambiente di lavoro, a riflettere e a agire a partire da se stesso ("Cos'è per me? Cosa ci posso fare, meglio? Qual è la sua funzione in rapporto ai miei progetti e ai miei obiettivi?). La formazione di una cultura tecnologica estesa deve quindi evitare qualsiasi logica autoreferente e separata da altri processi di apprendimento, per comprendere piuttosto attività in stretto collegamento con l'insieme del contesto scolastico. Non serve a nulla attrezzare "Laboratori di informatica" in cui fornire ogni allievo di un Personal Computer, se il lavoro resta fine a se stesso e avulso dal resto; ha molto più senso dotare ogni classe di strumenti tecnologici e promuovere attività di comunicazione autentica, in cui insegnanti e allievi si misurino autenticamente e fin da subito con vantaggi e benefici, limitazioni e condizionamenti.

 

Dalla seconda e dalla terza caratteristica discende direttamente la finalità della formazione: siamo in una fase storica(2) che richiede un investimento che renda tutti capaci di usare consapevolmente attuali (e future) Tecnologie di Comunicazione allo scopo di esercitare piena cittadinanza, intellettuale e politica(3). Un rapido apprendistato e un'ampia diffusione delle relative competenze sono esigenza e dovere della comunità sociale e diritto dei cittadini - nel nostro caso degli insegnanti come degli allievi. La scuola deve peraltro progettare i propri percorsi di formazione mantenendo la propria specificità, essere "palestra" di sperimentazione e di esercizio e "raffineria" di perfezionamento e di rielaborazione personale. Deve cioè essere vista come una delle istituzioni che presiedono alla diffusione collettiva del "Sapere Pubblico"(4), ma deve anche fare i conti con i suoi particolari compiti di mediazione, perché occasione di apprendimento e sviluppo di metodi e di consapevolezze che costruiscono dall'informazione la vera conoscenza. Non solo lo scopo non è imparare/apprendere le Tecnologie di Comunicazione in quanto tali, ma sarebbe a sua volta limitativo pensare di educare "con" - per esempio introducendo gli strumenti ipermediali nella scuola come nuovi "sussidi" o nuovi "libri di testo". La scuola deve fondare la propria cultura e formazione tecnologica sulla prospettiva dell'educare "a", a vivere consapevolmente e democraticamente nella società dell'informazione.

 

Siamo passati insomma dal ristretto concetto di "alfabetizzazione informatica" al ben più vasto problema del ruolo della scuola nella società dell'informazione - si badi bene, non quello delle tecnologie di comunicazione a scuola: il punto di vista "didattico" va ricompreso in un insieme più vasto. E su questo mi pare proprio che ci sia stata finora da parte degli addetti ai lavori scarsa elaborazione. Un esempio: la scuola e "Internet". Si moltiplicano le pagine WEB, soprattutto di istituti superiori, ma anche di scuole medie e elementari, che danno e scambiano in questo modo informazioni su se stesse e sulle loro attività. Ho francamente molti dubbi che il ruolo della Scuola nei confronti dell'informazione in rete sia (soltanto) questo. Penso piuttosto che sia (anche) far crescere in soggetti esposti sempre più alla rappresentazione massmediale della conoscenza(5) - bene (di consumo) prevalentemente individuale, frammentario e casuale, fondato principalmente su basi associative, spesso senza gerarchizzazioni, referenze profonde, relazioni strutturali(6) - la capacità di definire obiettivi di ricerca precisi, di valutare la pregnanza e l'importanza delle informazioni e di costruire tra esse collegamenti significativi. Andar per mare o creare i propri isolotti senza rotte consapevoli riduce alla navigazione a vista, così come è illusoria la libertà di accesso senza il diritto alla comprensione.

 

Più in generale, in un progetto di democrazia e di educazione civile, mi pare che la scuola e le altre agenzie di mediazione culturale (per esempio le biblioteche) debbano essere incaricate dalla comunità di costruire in ciascun cittadino attraverso percorsi propedeutici e di pratica diffusa una competenza e una consapevolezza in merito alle Tecnologie di Comunicazione che si fondi su tre principi fondamentali :

a) le risorse della comunità e il "Sapere pubblico" sono un diritto universale fondamentale: tutti devono poter fruire degli impianti tecnici e delle reti di informazione e essere messi nelle condizioni di capire sul serio;

b) l'accesso al "Sapere pubblico" deve essere aperto; non sono accettabili supremazie e vincoli che non derivino dalla necessità di garantire la protezione delle informazioni dalla distruzione o dalla sottrazione; ciascun vincolo deve comunque essere chiaramente spiegato;

c) ognuno deve essere stimolato a interagire autenticamente, a esercitare il proprio spirito critico, senza limitarsi a un assorbimento passivo; deve essere reso visibile e valorizzato il contributo di ciascun componente di una comunità in cui la comunicazione avviene tendenzialmente in modo orizzontale.

In questo quadro verrebbe definito anche uno specifico ruolo degli insegnanti: essi parteciperebbero a un processo comune di crescita di cultura tecnologica con il compito di mettere a disposizione degli allievi il proprio bagaglio di conoscenze come sempre valido e necessario strumento di orientamento, di selezione e di collegamento all'interno del "nuovo" universo informativo e comunicativo.

 Mi rendo conto che si delinea una problematica complessa e da precisare in molte sue articolazioni, ma credo che solo avendo chiaro che è in gioco il diritto di piena cittadinanza si possa costruire un progetto davvero efficace e motivare l'investimento di risorse economiche, umane e intellettuali necessario sia da parte della comunità sia da parte del singolo.

 NOTE

  1. Letture brevi ma illuminanti in merito possono essere A. Oliverio "Un bit dentro la testa" - in Repubblica 24. 8.1995 e M. Cini, "I professionisti della conoscenza" - in Il manifesto, 14.2. 1996.
  2. Una "svolta di sistema", concetto definito in P. Ortoleva, "Per una storia dei media", Anicia, Roma, 1994
  3. Grande lucidità d'analisi sul rapporto tra tecnologie e democrazia caratterizza gli scritti di S. Rodotà, come p.e. "Tecnologie e diritti", il Mulino, Bologna, 1995 e "La cittadinanza elettronica" - in Telema, 1, 1995
  4. Si legga in proposito A. Cavallari, "Nel labirinto dei media l'informazione scompare?" - in Telema, 4, 1996
  5. Un punto di vista di notevole interesse su questo problema è quello di G. Di Caro, "Scuola: luogo condiviso del sapere nella società multiculturale", Insegnare, 5, 1996
  6. Di straordinaria efficacia è a questo proposito l'affermazione di Michael Spindler, della Apple Computer: "... mi auguro che non siamo sul punto di fare il nostro ingresso in una realtà dell'informazione paragonabile al gioco Trivial Pursuit."

 

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