Reti digitali e diritti culturali – di Marco Guastavigna, pubblicato nel Dossier 2/2009 di Insegnare, Per una cittadinanza intenzionale
In Svezia il problema del rapporto dei cittadini con Internet e i prodotti culturali che vi circolano si addirittura tradotto nella costituzione di una discussa formazione politica, il Partito dei pirati, che ha ottenuto risultati significativi nelle recenti elezioni europee, in nome della libert in rete, della lotta alle major e al copyright, di un presunto diritto al download e alluso senza limitazioni del peer to peer (scambio di file tra diversi utenti, tra cui ovviamente prevalgono film, musica e - ultimamente – anche qualche best seller) per far circolare contenuti di intrattenimento culturale. In Francia era stata recentemente approvata una normativa che prevedeva la punizione chi scarica materiali protetti da diritto dautore con il blocco del suo accesso a Internet, provvedimento che stato corretto in senso molto meno restrittivo dal Consiglio Costituzionale. Chi sar scoperto a praticare questa attivit potr solo venire avvisato di essere stato individuato, perch la connessione a Internet un diritto fondamentale del cittadino, appartenente alla sfera della libert di espressione. un peccato che il dibattito sia stato ripreso in Italia pressoch soltanto nel mondo underground, dei fissati, dei bloggers, di coloro che non amano le grandi aziende e i grandi guadagni. Personalmente trovo poco convincenti e anche abbastanza ingenue le posizioni di chi, come per esempio Neri nel libro La baia dei pirati, scritto poco prima del processo che ha condannato i responsabili del sito The pirate bay a un anno di reclusione e a una ingente multa, sostiene che la pratica del download di materiale coperto da diritto dautore cos diffusa da aver ingenerato un cambiamento di cui il mercato non potr che prendere atto, modificandosi a sua volta. Questa prospettiva mi sembra confondere il diritto alla cultura, al sapere, allo sviluppo delle proprie potenzialit, affermato anche dalla nostra Costituzione come essenziale per tutti i cittadini su base solidaristica, con un presunto diritto individuale allintrattenimento (culturale) di cui nello spirito della Carta non vi a mio giudizio traccia alcuna. un peccato, perch, accanto a queste posizioni estreme, vi sono anche interessantissime riflessioni sulla necessit di modificare la tutela dei prodotti dellingegno, le proposte relative alle Creative Commons Licenses, con cui gli autori possono rilasciare materiali e contenuti vincolati a modalit duso tali da garantire la loro paternit intellettuale, ma meno vessatorie nei confronti degli utenti, in particolare per la rinuncia allaspetto economico del copyright, ovvero le royalties. Le CCL, figlie del concetto di open content, contenuto aperto, sono uno dei risultati pi interessanti, insieme al software libero e a codice aperto (open source) delle intuizioni di coloro che hanno praticato il meticciato concettuale tra le caratteristiche operative delle tecnologie digitali – che hanno sviluppato allennesima potenza la riproducibilit tecnica non solo dellopera darte, ma di una larga parte dei frutti dellingegno umano – e la dimensione intellettuale dei prodotti culturali. vero che in qualche nicchia si discute in modo approfondito – lo testimonia un altro libro, La conoscenza come bene comune, nel quale si sostiene che le scelte di alcuni grandi protagonisti di Internet stanno rinchiudendo entro enclosures digitali contenuti che dovrebbero appartenere allintera umanit e si afferma la necessit di un welfare culturale. Per lo pi, per, nei media e – ahim – nella scuola e anche nella nostra realt associativa, si discute di questi problemi in modo impressionistico e superficiale, senza alcuna consapevolezza della gravit – ma anche dellimportanza e della qualit – dei problemi relativi allo stato dei diritti culturali nellepoca del digitale. Si va dalle grida sul bullismo e dallesaltazione dei muscolari divieti che ne sono scaturiti, alle inerziali e sterili contrapposizioni tra apocalittici e integrati a fronte di qualche novit tecnologica destinata – in genere pi nelle previsioni di sostenitori e nemici che nella realt dei fatti – ad avere un qualche impatto sulle abitudini culturali: si pensi alle levate di scudi a prescindere contro gli ebook o agli entusiasmi acriticamente ottimistici che hanno accolto il recente inizio della campagna di diffusione delle Lavagne Interattive Multimediali. Anche del Web 2.0, ovvero della possibilit data dagli strumenti pi recenti a chiunque ritenga di aver concepito un prodotto culturale significativo – complesso e ampio, ma anche semplice e incisivo –di pubblicarlo in Rete in modo molto immediato, per farlo circolare e renderlo disponibile, si preferito discutere in modo assolutistico, dal messianico al demoniaco, esaltandone le potenzialit comunicative con la costruzione di false equivalenze tra autorevolezza e amatorialit o schiacciando il tutto sui peggiori aspetti di Facebook e del social-network in generale, quelli della comunicazione del tutto fine a se stessa, priva di qualsiasi spessore e significativit. La scuola, intesa come agenzia culturale, ha insomma perso una straordinaria occasione, preferendo rintanarsi nelle sue abitudini: siamo caduti cos in una sorta di ignavia, che ci ha reso incapaci di differenziarci in qualche misura dal Pensiero Innovatore Unico nei fatti in vigore nel nostro Paese, quale che sia lo schieramento politico-culturale di riferimento.
Un contributo al pensiero innovatore critico
AA. VV., La conoscenza come bene comune. Dalla teoria alla pratica, B. Mondadori, 2009
Luca Neri, La baia dei pirati. Assalto al copyright, Castelvecchi, 2009
Video lezioni sul concetto di copyleft - http://www.copyleft-italia.it/videolezioni/copyleft/index.htm
Ebook vs. libro di carta? – www.noiosito.it/eb1.htm