Digital naïf – di Marco Guastavigna, pubblicato in Insegnare 3/4 2009

 

La scuola italiana è invasa dal marketing concettuale, fatto  di slogan che suggestionano e producono potere culturale, fino a quando diventano obsoleti e vengono sostituiti da altri. Nella scorsa puntata abbiamo citato quello dei digital natives; questa volta ci divertiamo a inventarne uno originale, delineando la figura del digital naïf.

Cominciamo con gli adolescenti.

Qualche tempo fa sono entrato in una delle classi in cui insegno italiano e storia in un istituto professionale, una seconda;  e parecchi allievi mi hanno fatto gli auguri di buon compleanno. “Come fanno a saperlo? – mi sono chiesto- Gli anni sono  ormai parecchi e per questa ragione io non metto in giro la notizia”. Poi ho capito:  “Lo hanno visto nella mia scheda su Facebook e se lo sono detto l’uno con l’altro”. Ovviamente, dopo una piccola esitazione dovuta alla sorpresa, li ho ringraziati con calore. E quella mattina si è creata una bella atmosfera. In fondo i miei studenti mi avevano fatto davvero piacere: il desiderio – reciproco – di dare dimensione umana alla relazione didattica è sempre una bella intenzione. Tanto è vero che tutte le volte che un allievo attuale o del passato mi chiede di diventare mio amico in quell’ambiente di social network lo accontento immediatamente, e non solo perché sono felice di essere ancora in grado di ricordarli tutti. Sono una ventina, per adesso, certamente molti di più degli adulti che mi hanno fatto la medesima richiesta. Non si sono meravigliati più di tanto di trovarmi su Facebook: tutti sanno che ho la “mania” del computer. Ho – e non da quest’anno - quasi sempre un portatile nella borsa; la scuola ha la connessione ad Internet wireless e quindi possiamo, in modo estemporaneo, andare a cercare ogni tanto quel che ci serve, dal sito su Sherlock Holmes, ad una linea del tempo interattiva, alla mappa della rete dei trasporti urbani per quelli che devono andare a fare un servizio di catering in una zona di Torino in cui non sono mai stati prima. Essere davvero amici dei propri allievi nella vita reale è per altro difficile e per molti aspetti probabilmente anche discutibile; al più si può  - e si deve – avere nei loro confronti un atteggiamento amichevole, disponibile, aperto alle loro esigenze. L’amicizia virtuale è in sé ancor meno significativa, soprattutto quando si vada verso “grandi numeri” e si raggiunga una quantità di relazioni così ampia da compromettere ogni valore che non sia uno strano senso di appartenenza, ovvero la decisione più o meno consapevole di lasciarsi contagiare da una moda, da un vezzo. Del resto,  vedo ogni giorno in azione la mutazione dei consumi: in prima solo G. e A. hanno l’orologio al polso; tutti gli altri per sapere che ora è usano il telefono mobile, che tengono silenziosamente acceso  in tasca e in barba a ogni disposizione e a ogni divieto. Non ricevono quasi mai nessuna chiamata, nemmeno negli intervalli, quando sarebbe compatibile con le buone maniere  e consentito dal regolamento scolastico; spesso non hanno credito (“soldi sul cellulare”, come dicono loro) e non possono quindi nemmeno mandare uno Short Message System. Ma non c’è niente da fare: il telefonino deve essere acceso, sempre. Non per niente sono nati contemporaneamente alla diffusione nel nostro Paese della rete GSM: non possono nemmeno concepire di non essere costantemente disponibili per i loro rapporti potenziali. Non si tratta solo del fatto che tutto ciò che è proibito o interdetto diventa dalla notte dei tempi immediatamente appetibile per la maggioranza degli adolescenti: la mancanza delle comunicazioni potenziali genera un’ansia insostenibile. Il telefonino, del resto, è sempre più spesso anche macchina fotografica, telecamera, lettore di file musicali e, in qualche caso, anche di video. È abbastanza triste che alla fine della stesura di un compito molti allievi insistano a chiedere il permesso di “ascoltare la musica”; l’idea di chiacchierare – magari a bassa voce – con un compagno è molto meno interessante, il dialogo e il confronto sembrano essere occasione di intrattenimento solo quando violano le regole di comunicazione del gruppo. Se no, è meglio consumare qualche cosa, meglio se un prodotto della cultura di massa. È ancora più triste veder entrare in classe gruppetti di studenti apparentemente tutti insieme, in realtà divisi dagli auricolari conficcati nei padiglioni. La sola forma di condivisione praticata in modo massiccio e diffuso è lo “sdoppiamento” – magari via bluetooth - dei prodotti dell’ingegno altrui, dalla musica ai video, spesso di dubbio gusto, quasi sempre scaricati da Internet. Si ha un bel discutere di diritti d’autore, di problemi etici e legali; la risposta  più frequente è: “Lo fanno tutti. Perché io dovrei comportarmi in un altro modo?”. Durante l’autogestione gli studenti hanno compreso che non era una buona idea quella di vedere durante il cineforum organizzato per l’occasione “Gomorra” quando il DVD ufficiale del film non era ancora in distribuzione da nessuna parte; in compenso, qualche anno fa un allievo particolarmente timido si sbloccò all’improvviso e venne a scuola vestito da Babbo Natale, con tanto di sacco dal quale durante l’intervallo estrasse come regalo per i compagni una serie di Cd masterizzati, il cui contenuto non ho voluto approfondire più di tanto. Il tutto con la compiaciuta consapevolezza dei genitori. Che l’insegnante sia per il rispetto della proprietà intellettuale appare davvero un curioso ghiribizzo. Più comprensibile che i professori non siano d’accordo con il copia-e-incolla da Internet, ma anche in questo caso basta non farsi “beccare”, contando sulla loro scarsa familiarità con la cultura digitale. Ricordo ancora adesso la faccia stizzita di A., che qualche anno fa ha provato a rifilarmi una “tesina” sul cinema, quando gli ho fatto presente da dove arrivava; e mi immagino quella di W., che, facendosi prestare il pc dalla collega di sostegno, un paio di giorni fa ha copiato in modo integrale (a mano, sul tradizionale foglio di carta) un paio di pagine web sul film “Super Size Me”, visto in classe, illudendosi che non me ne sarei accorto. Torniamo a Facebook: la gran parte dei miei allievi e degli altri ragazzi – per di più minorenni – che frequentano questo ambiente gli consegnano parti importanti della propria identità; e non solo quella relativa alle abitudini e al consumo, ma anche quella che riguarda sentimenti e relazioni interpersonali. Per rendersene conto basta che dia uno sguardo alle più recenti informazioni comunicate da questi miei particolari amici digitali. M. ha appena cambiato numero di telefono, e consegna al mondo il modo di raggiungerla (ed eventualmente di importunarla). D&D hanno riempito il loro spazio di foto in cui figurano con varie amiche, a cui poco probabilmente è stato richiesto il consenso a comparire. S. confessa con un certo orgoglio che non è lui ad abusare dell’alcool, ma viceversa. Sempre D. pubblica orgogliosa una foto del proprio dito medio. E così via. Senza chiedersi mai quali possono essere le conseguenze delle proprie scelte. Anzi, so perfettamente quale sarebbe la risposta di molti miei ragazzi se affrontassi direttamente con loro alcune delle questioni etiche, legali, psicologiche sottese a questo breve racconto-sfogo: “E allora, prof? Che problema c’è?”. Lo loro risposta è semplice: tra un po’ si stancheranno di questa moda digitale e passeranno ad altro. Magari cambieranno piattaforma di comunicazione così come hanno cambiato modello di telefonino. Sono vittime dell’obsolescenza tecnologica pianificata, azione di marketing divenuta mentalità, a garantire una continua crescita dei consumi digitali, con il rischio di una progressiva perdita di valore delle scelte personali, ridotte a manie temporanee, anche quando hanno a che fare con aspetti  fondamentali della propria formazione individuale.

E poi ci sono molti colleghi “tecnologici”, i cui comportamenti sono così ricorrenti  che possiamo passare dagli esempi ai tipi:

- osservano ammirati i digital naïf adolescenti, spesso confondendo la quantità di connessione effettuate con qualità dell'esperienza culturale;

- confondono la pratica tecnologica con la competenza comunicativa e intellettuale d'uso delle strumentazioni digitali;

- aspirano a prendere l'ECDL o almeno a un riconoscimento formale delle proprie competenze;

- non comperano il software commerciale che usano perché “nessuno lo fa”; in alternativa: restano folgorati dall'open source e diventano fanatici di Linux;

- appena se ne impadroniscono, utilizzano compiaciuti ogni possibile espressione gergale: per esempio, non inseriscono un commento in un blog, lo "postano"; e pensano che le avvertenze contro i tecnicismi collaterali - espressioni che complicano un ragionamento senza aggiungere significato - siano un vezzo teorico dei linguisti;

-  vanno ai convegni sulle tecnologie per accertare "che cosa c'è di nuovo", nel timore che sia loro sfuggito; tirano un sospirone di sollievo quando hanno la conferma di avere tutto sotto controllo;

-  ciclicamente si innamorano dell'ultimo gadget professionale (nel passato magari lo scanner, oggi probabilmente l’Ebook e/o la Lavagna Interattiva Multimediale) e pensano che se lo avessero risolverebbero tutti i loro problemi didattici;

-  appena si imbattono in una novità hardware e/o software, immediatamente cercano il modo di "sperimentarne le potenzialità" con i propri allievi;

-  non colgono la contraddizione tra gli scenari descritti e le intenzioni annunciate dall'amministrazione scolastica in occasione delle annuali parate sulle tecnologie e il disinvestimento sulla scuola operato dalla stessa;

-  pensano che se tutti usassero le tecnologie come loro la scuola sarebbe molto diversa;

-  rifuggono dalla teoria perché ciò che importa davvero è la pratica quotidiana;

- se partecipano ad iniziative di formazione a distanza su piattaforma e-learning, leggono superficialmente il materiale di studio, perché "ciò che conta sono i forum dove si scambiano le esperienze tra colleghi".

 

Su Internet per approfondire

La retorica della Scuola 2.0

http://scuoladigitale.blogspot.com/

I digital natives su Wikipedia

http://it.wikipedia.org/wiki/Nativo_digitale

Facebook

http://www.facebook.com/

Libri cartacei vs. libri digitali?

http://www.noioito.it/eb1.htm