Interfacce "confortevoli"?
- di Marco GuastavignaContribuisco a questo numero di Onlynx proponendo le linee del mio intervento al 4° Forum della Biblioteca Virtuale (Moncalieri [TO], 23-24 aprile 1999) dedicato a «La lotta all'esclusione e le tecnologie dell'informazione».
Sono infatti profondamente convinto che si debba ampiamente ragionare sulle implicazioni cognitive dell'interazione con gli ambienti elettronici attuali, perché mi pare che le interfacce analogiche non restituiscano sempre e comunque all'utente un "senso inclusivo" sulle proprie proposte operative., al di là delle facili illusioni di chi attribuisce loro sempre e comunque la qualità di "amichevoli",
Per sviluppare questo ragionamento faccio un passo indietro e sottopongo all'attenzione dei lettori due definizioni centrate appunto sugli aspetti cognitivi:
Lo strumento di intercomunicazione (=l'interfaccia) con gli utenti degli ambienti di lavoro elettronici si articola su repertori di icone - simbolo. Possiamo quindi definire tale interfaccia come un insieme visivo a cui sono affidati contemporaneamente compiti funzionali, rivolti verso la "Macchina", e compiti di invito operativo, rivolti verso l'Utente.
In questo contesto d'analisi espressioni come "software", "programma", "pacchetti applicativi" e così via mi sembrano francamente diventate inutili, e propongo di sostituirle con le seguenti formulazioni:
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strumenti di rappresentazione grafica codificata di oggetti, azioni e procedure, relazioni; |
e pertanto, contemporaneamente,
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insiemi di oggetti dotati di "materialità parziale", su cui si esercitano in qualche caso l'udito, in forma necessitata la vista e, mediante il dispositivo di puntamento, una particolare forma di tatto, "virtuale", ovvero esclusivamente esecutivo e privato di ogni capacità esplorativa, non in grado in alcun modo di vicariare appunto la vista, a cui è anzi completamente subordinato. |
Queste definizioni spiegano a mio giudizio da un punto di vista cognitivo generale molte delle frequenti situazioni di disorientamento delle quali sono frequentemente vittime gli utenti dell'interfaccia analogica:
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Contiene un autentico riferimento a un'azione dell'esperienza materiale |
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Richiama (e attiva!) un oggetto dotato di materialità rapidamente apprezzabile e individuabile |
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Richiede un processo ana/logico autoreferente |
Spero che nessuno pensi che la mia sia una visione "apocalittica". La mia intenzione non è infatti rinforzare i già fin troppo diffusi atteggiamenti di rifiuto e di demonizzazione acritica delle tecnologie elettroniche dell'informazione e della comunicazione. Voglio invece stimolare ulteriori riflessioni e analsi affinché si tengano nel dovuto conto e si affrontino in modo corretto, senza quindi sopravvalutarli ma anche senza sottovalutarli, i problemi cognitivi che possono derivare dalla rappresentazione e dall'impiego di oggetti, azioni, procedure, relazioni in progressiva assenza di riferimento materiale, considerando anche che essi sono destinati a aumentare via via che il computer arricchirà, quantitativamente e qualitativamente, il suo essere macchina complessa e multifunzionale.
Riferimenti bibliografici essenziali
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Carlini F., "Lo stile del Web. Parole e immagini nella comunicazione in rete", Einaudi, Torino, 1999 |
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Guastavigna M., "Ho scritto "T'amo" sulla RAM", marzo 1999 |
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Guastavigna M., "Interfacce "amichevoli" e disorientamento cognitivo", in corso di pubblicazione su QuipoWeb |
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Norman D.A. "Le cose che ci fanno intelligenti", Feltrinelli, Milano, 1995. |