“Libro Bianco” sull’innovazione: questa prospettiva non ci appartiene – di Marco Guastavigna

(pubblicato sul numero 7/8 di Insegnare, rivista del CIDI – www.cidi.it)

 

È disponibile da qualche tempo il “Libro bianco sull’innovazione nella Scuola e nell’Università”, realizzato dal MIUR e dal Technology Innovation Council (T.I.C.) gruppo di aziende coordinato da Business International, che ha lo scopo di proporre alle istituzioni “interventi finalizzati allo sviluppo e alla diffusione della cultura dell’innovazione in Italia in ottica di miglioramento della competitività[1] del business environment in settori strategici per lo sviluppo del nostro Sistema Paese” ed opera costituendo tavoli di lavoro congiunti tra Imprese e Ministeri. Rifacendosi all’obiettivo fissato al Consiglio europeo di Lisbona nel 2000 di portare entro il 2010 l’Unione Europea a “diventare l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale”, fondandosi sulla considerazione che “il sistema scolastico e le università italiane sono in una  fase di forte evoluzione per quanto riguarda l’utilizzo delle tecnologie informatiche” e che l’Italia stia cercando di recuperare il ritardo accumulato, “introducendo una serie di innovazioni che in tempi rapidi cambieranno in modo sostanziale il modo di fare didattica, le modalità di apprendimento e di gestione della conoscenza nell’universo scolastico italiano”, il documento contiene un’analisi della nostra situazione comparata con quella degli altri paesi europei, e una serie di proposte di tipo strategico su come strutturare e favorire l’introduzione delle Tecnologie della Comunicazione e dell’Informazione nel sistema educativo. Per inquadrare la logica generale del documento, è molto importante metterne in evidenza alcuni nodi concettuali di fondo. Il Libro Bianco si propone infatti di mostrare come la scuola italiana si deve orientare al fine “di seguire con efficacia e continuità il processo di innovazione della società e delle aziende del settore”. In questa prospettiva vengono riconosciuti l’importanza del patrimonio culturale collettivo, la necessità di “elevare il ruolo sociale dei docenti”, il fatto che l’innovazione tecnologica sia un mezzo e non un fine e che la sua applicazione deve essere interpretata in modo sostenibile, ovvero con attenzione ai potenziali vantaggi ma anche ai possibili danni, ma ciò a lungo termine che davvero conta è “creare una forza lavoro in grado di competere ed emergere a livello globale grazie alla padronanza della tecnologia e dei processi che rendono possibile l’innovazione”. La scuola viene più volte definita come “content provider”, a cui deve essere data la possibilità di condividere il proprio patrimonio “grazie all’implementazione di strumenti tecnologici selezionati e alla collaborazione dei diversi soggetti coinvolti nel processo formativo”. E quindi, poiché “le imprese hanno da tempo sviluppato modelli formativi complementari a quelli ufficiali” orientati alla produttività e all’efficienza, “tali modelli possono essere utili al MIUR al fine di migliorare i propri programmi”: questo in particolare per le materie che a scuola non vengono insegnate, come “alcune metodologie aziendali, l’attitudine a lavorare in gruppo”, per l’uso del computer e di Internet. Le proposte per sostenere e incrementare l’innovazione nascono tutte da questo criterio, secondo cui i modelli aziendali, ritenuti efficaci, efficienti, flessibili e collaudati avrebbero maturato il diritto all’egemonia quando si operi per l’introduzione delle TIC a scuola. Vengono per esempio proposti tre Centri di Eccellenza Tecnologica, (uno al Nord, uno al Centro e uno al Sud), risultato di uno sforzo congiunto del MIUR e delle imprese private e concepiti come luoghi di sperimentazione dell’innovazione didattica attraverso le tecnologie, in modo da valutarne le ricadute effettive, far emergere una nuova generazione di docenti, mettere a disposizione degli studenti ambienti evoluti. Tra gli obiettivi principali vi è “un’offerta formativa più in linea con le esigenze del mercato del lavoro” ed è previsto “il coinvolgimento diretto delle imprese nella realizzazione dei programmi scolastici”.  La stessa impostazione ha anche l'idea di dar vita ad una agorà telematica per gli stages, che consenta alle imprese di selezionare con più facilità gli studenti. Anche il Progetto "Oggi Scuola", che prevede un network di giornali scolastici fruibili on line e stampabili su carta e la realizzazione di un’edizione nazionale con i contributi migliori, dichiara con grande schiettezza quali siano gli intendimenti; consentire “agli studenti coinvolti di acquisire le tecniche dell’editoria online, della navigazione su Internet, dell’uso del personal computer. Tali competenze verranno tuttavia interiorizzate in modo indiretto, usandole per realizzare un prodotto capace di stimolare la creatività degli studenti stessi, la loro attitudine al lavoro di gruppo, alla finalizzazione per obiettivi, alla competitività su una scala più ampia di quella che possono offrire una singola classe o una singola scuola”.  L’ICT è vista infatti come “fattore abilitante necessario nello scenario italiano”, in quanto ”bagaglio culturale per chi si affaccia sul mondo del lavoro”. Alla scuola di grado inferiore è concesso di non puntare direttamente all’obiettivo della competenze tecnologiche in quanto tali, ma si precisa che nella “scuola di ordine superiore e nell’università, invece, l’ICT deve entrare nel patrimonio conoscitivo degli studenti, in modo più specifico”. Del resto, è chiaro il perché: tutte le aziende, non solo quelle che compongono il T.I.C., lamentano “una notevole mancanza di preparazione specifica” all’uso delle tecnologie infotelematiche “da parte di chi esce dal percorso formativo italiano”. Colmare questa distanza dalle esigenze dei profili professionali, che prende il nome di “skill shortage”, è al momento a carico delle imprese e deve invece diventare una finalità dell’educazione. Il Libro Bianco ha tre allegati: “Mappatura delle community nell’universo scuola”, “Vademecum dell’e-learning” e “Le parole dell’e-learning”. L’ultimo documento, in particolare, è un esempio molto evidente di come l’uso dell’inglese per etichettare oggetti, processi, situazioni, obiettivi non sia soltanto un vezzo: lontano dall’essere un giustificato impiego della principale lingua comunitaria è invece, almeno a mio giudizio, un modo per aumentare in modo artificioso il potere definitorio e la credibilità delle proprie asserzioni. Siamo cioè di fronte a un meccanismo di autenticazione aprioristica: d’ora in poi sarà sufficiente utilizzare l’etichetta in lingua straniera e il prodotto, l’esperienza, il progetto, l’intenzione, risulteranno più forti e convincenti. È ovviamente una situazione al limite del paradosso, ma mi sembra fortemente esemplificativa di una prospettiva rispetto alla quale l’iniziativa didattica democratica non può restare in silenzio, ma deve, anzi, riprendere il cammino. Dobbiamo prendere chiaramente le distanze da questa logica mercantilistica, in primo luogo perché in modi spesso artificiosi individua nella riforma del Ministro Moratti contro la Scuola un interlocutore progettuale diretto. Dobbiamo non cadere nella trappola costituita dall’idea che l’acquisizione di pratiche relative all’ICT corrisponda in forma diretta all’interesse di tutti nella scuola della competitività. Dobbiamo soprattutto riappropriarci di una nostra autonoma capacità di elaborazione, riprendendo in generale la riflessione sulla cittadinanza digitale e riflettendo nel nostro specifico con rigore sulle tecnologie infotelematiche come ambienti di facilitazione e sviluppo dei processi di apprendimento nella scuola dell’inclusione.

 

In rete per approfondire

 

La pagina del sito del MIUR dedicata al Libro Bianco sulle TIC

http://www.istruzione.it/innovazione/tecnologie/libro_tic.shtml

Riflessioni di Stefano Rodotà sulla cittadinanza elettronica

http://www.fub.it/telema/TELEMA1/Rodota1.html

 



[1] Qui come di seguito i corsivi sono miei e non del documento originale.