Non “nuove” tecnologie, ma nuovi paradigmi di approccio – di Marco Guastavigna, pubblicato su Insegnare, 3-2008

Di recente ho partecipato a due iniziative che hanno molto arricchito la mia riflessione sulle implicazioni cognitive delle tecnologie della comunicazione digitale: da un lato la presentazione in Italia del computer XO da parte di Negroponte, evento di respiro internazionale; dall’altra una caccia al tesoro realizzata con le Playstation portatili, che ha coinvolto gli studenti delle scuole medie di una cittadina dell’area metropolitana torinese.

 

Due vicende molto diverse, ma accomunate dal superamento nei fatti dei paradigmi troppo spesso sclerotizzati a cui si continua a ridurre il rapporto tra giovani e tecnologie della comunicazione; rivalutare e assumere una visione flessibile è invece essenziale nel momento in cui, in conseguenza di una interpretazione pedissequa e rigida delle indicazioni per la scuola di base, assistiamo anche in ambienti a noi apparentemente vicini dal punto di vista culturale a una rincorsa alla curricularizzazione che rischia di scadere in banale immobilismo strumentale e, ancor peggio, concettuale e cognitivo.

 

One Laptop Per Children

Il 7 marzo 2008, Nicholas Negroponte, direttore del Media Laboratory del Massachusetts Institute of Technology (MIT) e “guru” delle applicazioni dell’informatica all’apprendimento, ha firmato un accordo con il Comune di Firenze, che acquisterà 100 computer portatili XO; tale accordo – che si colloca nell’ambito del progetto OLPC (One Laptop Per Children) – prevede che altrettanti computer vengano regalati a città di paesi in via di sviluppo. Nello stesso giorno partecipavo all’iniziativa “A computer donato… si guarda in bocca”, a sua volta relativa a XO  e documentata all’indirizzo riportato in calce all’articolo.

Cos’è un portatile XO? Perché ci interessa? XO è la realizzazione concreta del progetto del computer da 100 dollari, di cui qualche lettore ha sentito probabilmente parlare. Qui lo consideriamo però essenzialmente come computer destinato ai bambini, con alcune caratteristiche peculiari. Perché XO è stato concepito sulla base di ben precisi studi a proposito dell’apprendimento: in particolare il “costruzionismo”, teoria che sostiene che si impara meglio quando si arriva all’astrazione manipolando oggetti e concetti.  A tale prospettiva si ispira, ad esempio, Logo, un robottino dalle sembianze di tartaruga notissimo agli insegnanti, al quale  il bambino potrà dare istruzioni  che ne determineranno un movimento sullo schermo tale da disegnare figure anche molto complesse: un modo “costruzionista” di manipolare concetti geometrici. XO propone quindi Logo ai bambini e ai ragazzi di tutto il mondo, insieme  a numerosi altri “giochi” che hanno la stessa impostazione; inoltre strumenti per scrittura, posta elettronica, una selezione di siti Internet, carte geografiche e varie risorse culturali. XO non è nemmeno visivamente e funzionalmente un computer destinato all’ufficio, come sono invece quelli “tradizionali”, strutturati  con cartelle e files. Funziona infatti sul principio del diario di bordo, che mantiene traccia di tutte le attività svolte dai suoi utilizzatori; e, poiché è dotato di uno schermo piccolo – perfettamente visibile anche in pieno sole – coerentemente rinuncia alle “finestre” sovrapponibili, che costituiscono un aspetto fondante dell’interfaccia a cui siamo tutti abituati per non creare situazioni di ingombro e di confusione. XO, insomma, è costruito in modo da adattarsi a diverse esigenze dei suoi utenti, cognitive ed ambientali.

Su Internet con la Play

L’11 aprile 20008 gli studenti delle scuole medie di Grugliasco dotati di PSP (Playstation portable) sono stati invitati a partecipare, nell’ambito del Primo festival delle scienze e delle tecnologie, a una caccia al tesoro su base digitale; hanno assistito a una serie di esperimenti di chimica effettuati in stand collocati qua e là nel parco delle Serre; e, al termine di ciascuno di essi, hanno risposto ad alcune domande a risposta chiusa, via via raggiungibili attraverso la connessione wireless (“senza fili”) abilitata all’atto dell’iscrizione al server responsabile dell’invio delle domande, del vaglio delle risposte e dell’assegnazione dei punteggi in tempo reale. Questo meccanismo non ha nulla di eccezionale dal punto di vista strettamente tecnologico: la connessione a Internet appartiene infatti alle potenzialità di base della Playstation portatile; fornire connessione wireless è  prerogativa di un servizio medio. È rilevante piuttosto l’aspetto cognitivo: per molti studenti la situazione rappresentava una novità assoluta e alcuni addirittura si chiedevano: “Ma… che gioco è? Come faccio ad averlo anche a casa?”. Il quesito testimonia non tanto la mancata comprensione dell’impianto tecnico – effettivamente poco importante ai fini della partecipazione alla gara- quanto una visione concettualmente riduttiva: “La Playstation serve a giocare. Quindi questo deve essere un gioco particolare di cui io non ero a conoscenza fino a oggi e che mi devo procurare”. Più in generale, una situazione come questa ci segnala il bisogno che a scuola si svolga un’azione formativa di ampio respiro, che  permetta sia agli insegnanti sia agli alunni di metabolizzare le differenze e le intersezioni logico-funzionali tra i diversi dispositivi e tra le differenti situazioni e di penetrare la dinamicità delle interfacce, delle procedure, delle interconnessioni e delle potenzialità comunicative. Se questo non avviene, vi è il rischio che si vada nella direzione di una curricularizzazione asfittica e meccanica, fondata sulla estensione pregiudiziale a funzioni di base delle pratiche empiriche degli estensori, di cui vi sono già i primi evidenti segnali.

Flessibilità formativa

Non è possibile oggi prevedere se OLPC raggiungerà gli obiettivi che si prefigge, ossia diffondersi presso i bambini e i ragazzi di tutto il pianeta - “sviluppato” e “in via di sviluppo” – e contribuire alla crescita degli apprendimenti, a scuola e a casa. Ciò che interessa, soprattutto, è la peculiarità della ratio cui il progetto si ispira, che rappresenta un elemento particolarmente significativo sul controverso versante delle dinamiche scolastiche e familiari nel rapporto con le tecnologie. Pensare un computer per bambini significa infatti in primo luogo rovesciare un modo di vedere le tecnologie della comunicazione e dell’informazione molto diffuso anche in Italia: la convinzione che si tratti di oggetti di apprendimento fini a se stessi e che sia quindi necessario definire uno specifico percorso curriculare. Sempre più frequentemente, infatti, scuola e famiglie ragionano su competenze digitali - ossia su (presunte) capacità d’uso del calcolatore e della rete – dimenticando di stabilire la necessaria relazione con un’attribuzione di senso e con la definizione di uno scopo che quelle competenze dovrebbero implicare. Un esempio: saper accedere a Internet dovrebbe consistere nella capacità di  compiere una ricerca determinata o azioni precise (prenotare un aereo o acquistare un oggetto a prezzo competitivo); se si attribuisse realmente a questi atti il requisito dell’intenzionalità, gli strumenti dovrebbero avere un design che renda semplice e intuitiva l’interazione con essi: l’operazione sarebbe in tal modo naturalmente accompagnata e propiziata da una struttura consequenziale e addirittura ispirata  dall’intenzionalità che ne determina l’uso. E questo permetterebbe di comprendere come in alcuni casi – laddove si tratti soltanto di scegliere tra opzioni preimpostate – sia possibile utilizzare anche la Playstation, che è priva di tastiera alfanumerica. La mentalità diffusa è tutt’altra: troppo spesso le persone in formazione (insegnanti che si aggiornano e studenti che frequentano a scuola corsi di informatica) sono indotte ad imparare procedure astratte e decontestualizzate, che vengono per altro quasi sussunte a  proprietà assolute dei dispositivi su cui vengono realizzate la prima volta. Questa erronea prassi e l’altrettanto erroneo pregiudizio che la determina hanno prodotto e favorito un equivoco intergenerazionale: i giovani sarebbero “più adatti” alle attuali tecnologie di comunicazione. Al di là del fatto che il pregiudizio di non collocabililità su Internet della Playstation portatile da parte di alcuni studenti di Grugliasco già da solo mette in crisi questa concezione, va considerato che allo stesso modo i giovani sono più abili ad imparare a arrampicare in parete  o a parlare una lingua diversa: i bambini e i ragazzi, infatti, sono “più adatti” degli adulti ad apprendere e a modificarsi, in generale. L’equivoco intergenerazionale si è poi spesso tradotto  una sorta di resa al senso di inadeguatezza:  quote assai significative di adulti sembrano in grande maggioranza aver abdicato a orientare l’uso quotidiano delle tecnologie di comunicazione da parte di bambini e ragazzi, creando così una “terra di nessuno”, caratterizzata da (banale) consumo per l’intrattenimento e/o “teppismo mediale”, come recenti tristi episodi e muscolari divieti  testimoniano.

L’interesse di XO - e in una certa misura anche del tentativo di  inserire la PSP nel contesto scolastico – sta insomma non nelle soluzioni, ma nel problema che le due vicende affrontano: è necessario e possibile pensare a un utilizzo dei dispositivi digitali costitutivamente educativo, ovvero a percorsi che non siano imperniati sui diversi strumenti, ma che piuttosto ne sfruttino le differenti caratteristiche (in un parco il pregio della PSP risiede nella sua portabilità e nella “tenuta” della batteria)  in attività con valore formativo più ampio.

In questo momento alla scuola non deve interessare declinare una volta per tutte quali siano le pratiche di base dell’uso di un computer. Si tratterebbe di un’operazione priva di senso e di efficacia, perché i paradigmi di interazione sono in fase di continua modificazione. A titolo di esempio, propongo in calce all’articolo di farsi un’idea delle potenzialità di Microsoft Surface®, che, qualora venga commercializzato, è destinato a modificare in modo molto profondo la concezione stessa di dispositivo digitale e che in ogni caso, esemplifica in modo particolarmente la vocazione all’obsolescenza di ciò che superficialmente ci appare basilare. È necessario piuttosto individuare un tessuto profondo di valori aggiunti di tipo cognitivo, operativo e di relazione (apertura di una porta di ricerca e di comunicazione sul mondo; flessibilità dei processi di elaborazione; riadattabilità, riproducibilità e condivisibilità dei contenuti prodotti; sintassi ipertestuale; composizione multimediale) e imparare a valorizzarlo nei percorsi di apprendimento dei diversi campi di conoscenza. Non si tratta di dare dimensione curriculare alle tecnologie di comunicazione, quanto di inserirne le potenzialità nella costruzione dei percorsi formativi di ogni ordine di scuola, da ogni punto di vista. Per far questo, però, è necessario un salto di qualità: il tessuto profondo di valori aggiunti sopra delineato deve diventare patrimonio attivo e praticato della dimensione intellettuale del profilo professionale docente. In assenza di questo snodo fondamentale, ogni altro passaggio è illusorio.

Su Internet per approfondire

One Laptop Per Children – progetto generale

http://laptop.org/index.it.html

A computer donato… si guarda in bocca

http://share.dschola.it/olpc/    

Microsoft Surface®; clip su Yuotube - suggeriamo di guardare anche i video correlatiti

http://www.noiosito.it/msurface.htm