Sintesi dell'intervento di Marco Guastavigna
(insegnante di scuola media)
nel gruppo di discussione "Cittadinanza e tecnologie"
(pubblicato in Quaderni di Cooperazione educativa, 34, La Nuova Italia, Firenze, sett. 1999)
Nel pensare quale specifico contributo portare al dibattito, mi sono proposto di delineare la particolare funzione della Scuola nel rapporto tra tecnologie di comunicazione e cittadinanza, a partire dalla profonda convinzione che la questione si ponga, prima ancora che per motivazioni pedagogiche e cognitive, in seguito al mandato delineato dall'art.3 della Costituzione: la rimozione degli ostacoli socio-culturali allo sviluppo di ciascuno è compito della Repubblica, è quindi compito primario della Scuola della Repubblica sviluppare competenze tecnologiche diffuse quale garanzia formativa del raggiungimento di una piena cittadinanza politica e intellettuale nella società dell'informazione [1].
Nel cercare ora di definire più da vicino tale compito, mi dichiaro altrettanto vivamente persuaso del fatto che la Scuola debba costruire fin da subito competenze d'uso consapevole e critico delle tecnologie di comunicazione. Per questo motivo esprimo in questa sede con molta chiarezza la mia sincera preoccupazione a proposito dell'impostazione del "Programma di sviluppo delle tecnologie didattiche 1997/2000" del Ministero della Pubblica Istruzione: tale progetto infatti fa sì un esplicito riferimento al senso critico, ma lo indica come finalità da raggiungersi al termine dei percorsi di formazione e non invece come punto di vista proprio della Scuola, in quanto istituzione peculiare, che deve certo adattarsi ai cambiamenti avvenuti nella elaborazione dell'informazione, ma nello stesso tempo conservare la propria specificità, assumersi in modo rinnovato le proprie costanti responsabilità di mediazione e orientamento culturale [2].
Gli scenari prospettati da alcuni interlocutori nel corso del dibattito, rivestiti a mio giudizio da un eccesso di ottimismo, mi spingono inoltre a pensare che sia urgente mettere in discussione tre miti, o meglio tre dogmi, nei confronti dei quali mi professo consapevolmente eretico.
In primo luogo non condivido la presupposizione, fortemente presente appunto in alcune delle posizioni emerse nella discussione, per cui "multimediale è bello", sempre e comunque. Non ne sono affatto convinto, anzi la giudico un'opinione ingenua e pericolosa, dalla quale vanno prese le distanze. Penso infatti che da parte di molti venga effettuato un troppo disinvolto trasferimento automatico delle concettualizzazioni che si sono sviluppate in astratto a proposito della comunicazione multimediale e ipertestuale (in particolare quelle relative ai vantaggi dell'isomorfismo tra strutture informative a rete e strutture cognitive[3]) ai singoli e concreti oggetti multimediali[4], prodotti invece di un mercato - il "convitato di pietra" di questo dibattito- ancora molto immaturo e caratterizzato dalla pressione dell'offerta, che va all'assalto di un "consumo di informazioni" (è recente il conio dell'espressione infotainment, davvero angosciosa, e non solo sotto il profilo linguistico) a sua volta sprovvisto di categorie di valutazione della validità e dell'efficacia di quanto gli viene proposto. Insomma: bisogna frenare gli entusiasmi, e ragionare per costruire criteri di giudizio e di accreditamento. E qui ritorniamo ai compiti della Scuola e in particolare a quelli degli insegnanti, che a me piace definire "adulti acculturati con compiti di mediazione per l'apprendimento" e che come tali hanno pieno diritto di uscire dalla posizione di subalternità in cui rischiano di essere spinti dall'attualmente troppo diffusa esaltazione acritica di tutto ciò che si dichiara multimediale. Così come ci sono e ci sono sempre stati buoni libri e cattivi libri, libri comprensibili e libri poco comprensibili, ci sono e ci saranno infatti oggetti multimediali ben strutturati e chiari e oggetti multimediali strutturati in modo confuso e ambigui, insomma oggetti multimediali buoni e oggetti multimediali cattivi. Questa smitizzazione è per certi aspetti forse banale, ma io la reputo di particolare importanza per la Scuola, perché consente di superare il pericolo di abdicare al senso critico, proprio nel momento in cui la comunità affronta il compito di costruire percorsi di utilizzazione delle tecnologie di comunicazione all'interno dei curricoli di apprendimento. Essa permette infatti di sbarazzarsi anche di un altro modo di vedere le cose di nuovo un po' ingenuo: attribuire alle abilità di gestione delle tecnologie multimediali la condizione di competenze valide in sé; a Scuola c'è bisogno di queste capacità, certo, ma soprattutto di attribuzione di sensi - intellettuali prima ancora che pedagogici, di chiarezza di scopi, di ipotesi di cambiamento dei contesti educativi. Non è con il riferimento, apparentemente semplice e facile da condividere, in realtà onnicomprensivo e quindi vago, alla multimedialità in quanto tale che si può rispondere a queste necessità.
In secondo luogo credo che debba essere riconsiderata con estrema lucidità la questione della società dell'informazione. Anche qui sono emersi nella discussione soprattutto un fiorire di entusiasmi e grandi promesse di risorse per la didattica. Mi è parso che qualcuno abbia dimenticato o preferisca non vedere che la conoscenza può assumere alcune connotazioni molto preoccupanti, dal punto di vista della Scuola e della democrazia: nella società dell'informazione così come si va definendo troppo spesso essa è un bene (di consumo) di cui appropriarsi in modo individuale e frammentario, una variabile che ancora più che nel passato dipende dalla collocazione sociale e geografica e dalle condizioni ambientali e si costruisce poi con associazioni casuali, spesso senza gerarchizzazioni, referenze profonde, relazioni strutturali esplicite. L'acquisizione e l'impiego delle informazioni rischiano sempre più di assomigliare alle regole di un gioco di quiz casuali, preoccupazione genialmente espressa già nel 1995 da Michael Spindler, ovvero dal presidente della Apple Computer[5], e attualmente ancor più ragionevole, almeno a giudicare dal modo in cui si reclamizzano molte pubblicazioni multimediali Anche qui c'è molto da fare per la Scuola: per garantire a tutti il diritto alla comprensione quale elemento costitutivo della piena cittadinanza, essa deve costruire "progetti di conoscenza", esplicite occasioni per l'apprendimento e lo sviluppo di competenze non solo di reperimento materiale, ma anche di selezione, valutazione, elaborazione, organizzazione cognitiva delle informazioni. Come ulteriore elemento di analisi e contro speranze troppo facili si analizzino i contrapposti modelli di assetto delle reti di telecomunicazione presentati nella seguente tabella[6]:
Visione utopistica |
Visione realistica |
|
Struttura dei servizi di informazione |
Permeabile e senza barriere |
Presenza di settori riservati e di barriere (standard e protocolli riservati; tariffe differenti) |
Diffusione del servizio |
Universale; equilibrata |
Disparità di accessi e di condizioni |
Elemento trainante |
Domanda degli utenti |
Offerta delle imprese |
Tendenza dell'offerta |
Razionalizzazione; crescita della qualità: riduzione dei costi |
Creazione/difesa di oligopoli e monopoli |
Leadership |
Distribuita |
Presenza di soggetti dominanti |
Necessità di regolazione |
Minima |
Ampia; compito specifico di politica delle telecomunicazioni e delle autorithies; |
Prospettive evolutive |
Dalla partnership e/o dalla competizione tra le imprese hanno origine servizi sempre più avanzati e tendenzialmente universali |
Maggiori flessibilità riservate a clienti prioritari; svantaggi per altri utenti: progressiva differenziazione dei servizi |
In terzo luogo credo che sia necessario smettere finalmente di pensare che le "nuove" tecnologie mettano in moto meccanismi e rapporti sempre e comunque "nuovi": "nuovi" sotto il profilo cognitivo e "nuovi" sotto il profilo socioculturale. Già troppo sovente avviene che il riferimento alla "novità" nasconda la superficialità e il vuoto, ma parlando di educazione il riferimento a queste - a mio giudizio presunte - discontinuità epistemologiche assolute è quanto mai falso e pericoloso. È (forse) cresciuta la complessità -si tratta in genere di oggetti multifunzionali che vanno quindi compresi a livelli più astratti di quelli tradizionali- ma con gli strumenti multimediali, ipertestuali, telematici, abbiamo problemi di comunicazione e di interazione della stessa natura di quelli che abbiamo avuto per secoli con altri oggetti: sensi, scopi, contesti d'uso, chiarezza o meno di impianto dell'interfaccia, chiarezza o meno dei singoli inviti operativi e così via. Rivolgo pertanto in questa occasione un appello perché la formazione degli insegnanti e di tutti coloro che operano nel mondo della comunicazione e della educazione riservi uno spazio a questo tipo di riflessione[7]. Simmetricamente auspico che ci sia spazio per gli studi sulla storia sociale delle tecnologie[8]. Sono illuminanti, per esempio, le ricostruzioni del dibattito, degli entusiasmi, delle preoccupazioni, che si svilupparono quando intervennero le prime tecnologie di grande rottura materiale e della rappresentazione mentale dello spazio-tempo (telefono, elettricità, automobile), per cogliere come sia limitata e limitante la visione di coloro che attualmente pensano che per capire, per prevedere, per progettare e per governare processi sia sufficiente immergersi nell'esperienza.
Concludo fornendo lo strumento promesso al pubblico in occasione della discussione, una "scheda di valutazione fine" degli oggetti multimediali in funzione di un loro impiego a Scuola. Essa è organizzata sotto forma di domande e mi pare possa essere utile punto di partenza nella costruzione di metodologie di valutazione e di scelta per tutti coloro che lavoreranno alla crescita di una cultura della comunicazione tecnologica nelle istituzioni educative:
a) Aspetti "scientifici"
a.1) Largomento scelto è valido e interessante?
a.2) I materiali selezionati sono idonei?
a.3) Le singole unità informative proposte sono significative, compiute, pertinenti?
a.4) Le relazioni tra le unità informative sono a loro volta significative, compiute, pertinenti?
b) Aspetti ergonomici
b.1) Lo scopo globale dell'attività proposta dall'oggetto multimediale è comunicato in modo chiaro?
b.2) Il suo impianto di insieme è chiaro e evidente?
b.3) I singoli compiti proposti sono significativi?
b.4) I singoli inviti operativi sono chiari e evidenti?
b.5) I percorsi interni sono chiari e evidenti?
b.6) I meccanismi di controllo del ritmo, della direzione, delle situazioni sono efficaci?
c) Aspetti contestuali
c.1) Qual è il grado di coinvolgimento e di attenzione?
c.2) In quale situazione didattica è possibile inserire l'oggetto multimediale?
c.3) Quali elementi di modificazione esso può indurre?
Note:
[1] Sul concetto di "cittadinanza elettronica" e sulle sue implicazioni cfr. Rodotà S. "Tecnologie e diritti", Il Mulino, Bologna, 1995;
"La cittadinanza elettronica", Telèma, 1, 1995; "Tecnopolitica", Sagittari Laterza, Roma-Bari, 1997.[2] Sulla necessità che alla "libertà di accesso" si affianchi il "diritto alla comprensione": cfr. M. Guastavigna
, "Tecnologie di comunicazione e cittadinanza", in Insegnare 10/96 e "A scuola non basta insegnare con il computer" in Telèma, 9/1997.[3] Per tali concettualizzazioni cfr. per esempio Maragliano R., "Manuale di didattica multimediale", Editori Laterza, Bari, 1994 e "Esseri multimediali", La Nuova Italia, Firenze, 1996 oppure Antinucci, F. "Ipermedia e processi di apprendimento" in "Ipermedia: nuovi strumenti per la didattica", CSI Piemonte, 1992
[4] Sulla necessità di distinguere tra "fruibilità concettuale" e "fruibilità concreta, degli oggetti" per quel che riguarda la multimedialità, cfr.
M. Guastavigna, "Modelli di competenze per le tecnologie di comunicazione", in Insegnare 10/97.[5] "Personalmente e in tutta sincerità mi auguro che non siamo sul punto di fare il nostro ingresso in una realtà dell'informazione paragonabile sempre più al gioco Trivial Pursuit.", in M. Spindler, "Il presidente della Apple: Computer e reti, il futuro sarà interattivo", ne l'Unità, 17 giugno 1995.
[6] Essa è il frutto di una mia rielaborazione del "modello idealista" e del "modello strategico" di tale assetto, concetti ampiamente sviluppati in Mansell R., "Le telecomunicazioni che cambiano", Utet libreria-Telecom Italia, Torino, 1996, e da me ribattezzati rispettivamente "visione utopistica" e "visione realistica" perché sia più chiaro quale dei due mi appare più convincente e quindi avere maggiore credibilità ai fini della comprensione della situazione e delle conseguenti possibili aspettative.
[7] Cito qui di seguito due testi la cui lettura è stata per me assai chiarificante, ma la bibliografia a cui è possibile riferirsi è ovviamente molto più ampia: G. Anceschi (a cura di) "Oggetti colloquiali e protesi virtuali. Il progetto delle interfacce", Domus Academy, Milano, 1993 e D. A. Norman, "Le cose che ci fanno intelligenti", Feltrinelli, Milano, 1995.
[8] Si possono leggere tra gli altri Marvin C., "Quando le vecchie tecnologie erano nuove", Utet libreria-Telecom Italia, Torino, 1994 e Flichy P. "L'innovazione tecnologica", Feltrinelli, Milano, 1996. Una rapida ma molto chiara sintesi delle principali problematiche della storia dei mezzi di comunicazione si trova in Ottaviano C., "Mezzi per comunicare", Paravia, Torino, 1997.