Recensione

Come resistere ai pericoli delle nuove tecnologie per la libertà – di Marco Guastavigna

“Resisting AI. An Anti-fascist Approach to Artificial Intelligence” di Dan McQuillan

Spero davvero che questo libro trovi lo spazio per una edizione italiana. In primo luogo, per il suo contenuto culturale specifico, in secondo luogo, per il valore paradigmatico dell’approccio politico a un tema che ancora troppi considerano fondamentalmente tecnico.

McQuillan non sostiene che l’intelligenza artificiale sia fascista di per sé, ma che “a causa delle sue operazioni principali, si presti alla fascistizzazione, o a soluzioni che operano nella direzione del fascismo”.

L’autore assume la definizione di fascismo come ultranazionalismo populista palingenetico[1], a cui le élite ricorrono nei momenti di crisi per mantenere i propri privilegi politici e culturali, e afferma che nel mondo attuale la minaccia di politiche neofasciste e autoritarie è reale, come indicano segnali ormai quotidiani.

Questa consapevolezza “antifascista” deve tradursi in attenzione costante verso tutti i dispositivi, compresi quelli digitali, che possono essere utilizzati nella soluzione di problemi sociali innescando azioni di controllo, normalizzazione e separazione violenta, costruite e giustificate, nel caso dell’AI, da una – presunta – obiettività computazionale e statistica. Tanto più che gli aspetti discriminatori spesso presenti nel modo di procedere e di classificare individui, gruppi e contesti dei dispositivi di AI trovano spesso corrispondenza culturale e antropologica nell’ideologia fascista o parafascista, come nel caso dei bias razzisti e sessisti.

“L’intelligenza artificiale è il soluzionismo tecnosociale, mentre il fascismo è il soluzionismo ultranazionalista”, afferma in modo netto McQuillan. E una loro eventuale combinazione è destinata a mantenere e perpetuare i rapporti di produzione e di proprietà.

Avere come riferimento costante e prioritario i valori e i principi dell’antifascismo, vuol dire pertanto considerare le condizioni e le situazioni che possono essere oggetto di impiego dell’intelligenza artificiale mantenendo salda la prospettiva del cambiamento e dell’equità. E quindi opporsi esplicitamente ad ogni forma di conservazione dei rapporti di forza e di sfruttamento, indicando invece con forza e lucidità il bisogno di ristrutturazione, modifica, inversione, progettando e considerando possibile “una società migliore” centrata sulle “pratiche della cura reciproca” e sull’interdipendenza degli esseri viventi.

McQuillan, in sintesi, applica un metodo molto significativo, che può essere ripreso in termini ampi e generali da chi si ostina a riconoscere le ingiustizie e le distruzioni implicate dal modello capitalistico e ha la caparbia convinzione che sia pertanto necessario (e sempre più urgente) collocarsi nell’area del conflitto esplicito con la situazione data, per modificarla profondamente.

E questa indicazione è molto utile, perché la recente irruzione dell’intelligenza artificiale nel campo della conoscenza, dell’istruzione e del lavoro ha alimentato confronto e scontro tra l’approccio maggioritario, subordinato alle nuove magnifiche sorti e progressive dell’oligopolio digitale, e un minoritario posizionamento critico, emancipato ed emancipante. Di fronte alle mega-macchine predittive fondate su modelli a correlazione statistica, il primo atteggiamento magnifica l’efficacia della traduzione di processi complessi in materiale computabile, in nome dell’efficacia.


L’intelligenza di un dispositivo viene infatti misurata su base prestazionale, ovvero in rapporto ai risultati ottenuti: ontologia ed epistemologia scivolano nel marketing concettuale dell’entusiastico ricorso all’oracolo digitale di turno. Da questa visione derivano comportamenti di massa acritici, in particolare – una volta superata (con grande fatica!) l’idea che ChatGPT rappresentasse l’intero settore – l’esplorazione compiaciutamente empirica delle varie funzionalità delle applicazioni etichettabili come “AI”.
Insomma: la privatizzazione della conoscenza collettiva, l’esaltazione del soluzionismo tecnologico competitivo e dirompente e l’algocrazia (il controllo e la regolazione dei comportamenti umani mediante mega-macchine di calcolo a comando capitalistico, in particolare per quanto riguarda le prestazioni sul lavoro) sembrano aver riportato una nuova esaltante vittoria culturale e antropologica.

Vi è però un altro modo di vedere le cose, pur se minoritario, che riprende proprio il focus del punto di vista di McQuillan. L’approccio contrastivo, resistenziale, interpreta infatti la riduzione statistica e la ricerca della computabilità come vincoli, che spingono a naturalizzare e perpetuare il modello socio-economico corrente, a immaginare il probabile anziché il possibile, il modificabile.


E quindi sono quanto mai necessarie concettualizzazioni autonome e analitiche, che disertino ogni standardizzazione della mentalità, e la denuncia dell’agire oligopolistico delle corporation di settore, la cui capacità di elaborazione di BigData e di costruzione di BigCorpora dinamici dipendono da una potenza di calcolo e infrastrutturale ineguagliabile da altri soggetti. Così come vanno poste domande in campo algoretico: non solo “cosa?” e “come?”, ma anche “perché (finale e causale)?” e “se”, inteso come vaglio delle potenziali conseguenze di ciascuna scelta o di ogni soluzione, senza dare nulla per scontato.

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Note

1 “Il fascismo è un genere di ideologia politica il cui nucleo mitico, nelle sue varie permutazioni, è una forma palingenetica di ultranazionalismo populista” - R. Griffin, “The nature of fascism”, Routledge, 1991

 

 

 



[1] “Il fascismo è un genere di ideologia politica il cui nucleo mitico, nelle sue varie permutazioni, è una forma palingenetica di ultranazionalismo populista”- R. Griffin, “The nature of fascism”, Routledge, 1991