Non è tecnologia, ma una questione mia (2) - di Marco Guastavigna
Pubblicato su Insegnare, 5 -2007
Nella precedente puntata di questa rubrica[1] ho affermato –e forse anche dimostrato- l’inconsistenza dell’idea di una competenza digitale chiusa su se stessa e sui propri aspetti strettamente tecnici, mettendo piuttosto in evidenza:
- la superiorità logica e didattica di una relazione con computer, rete Internet e tutto ciò che comunemente si associa a questi due totem dell’immaginario tecnologico di massa che si voglia invece fondare su aspetti cognitivi generali;
- la necessità di ripensare i modelli correnti dell’acculturazione tecnologica, della formazione degli insegnanti e degli approcci proposti agli studenti, che, troppo spesso in nome di una “pratica” ridotta ad addestramento e di un rifiuto della teoria intesa come vuota astrazione, si stanno rivelando del tutto inadeguati a promuovere un uso degli strumenti digitali davvero fecondo sul piano comunicativo e della crescita culturale.
In questa seconda e conclusiva puntata del ragionamento, pertanto, metterò ulteriormente a fuoco i concetti necessari per collocare in modo più preciso e netto le tecnologie digitali in tale prospettiva, insistendo sulle loro implicazioni cognitive.
Attività immateriali
Non è assurdo presupporre che i lettori abbiano presente in linea di massima la funzione di taglia-e-incolla, ovvero la possibilità di prelevare tutto un testo o, più frequentemente, una sua parte o ancora un qualsiasi oggetto collocato su supporto digitale e spostarlo in una nuova posizione all’interno del nostro spazio di elaborazione. Molti altri conosceranno la possibilità di annullare gli effetti dell’ultima operazione (o anche delle ultime operazioni, se non di tutte) compiute su di un qualsiasi oggetto digitale.
Si tratta delle due operazioni tipiche del supporto digitale che dipendono dalla sua immaterialità e che con più immediatezza ed evidenza ne rappresentano la flessibilità operativa e cognitiva: consentono infatti di compiere elaborazioni anche molto complesse procedendo per perfezionamenti successivi, per ipotesi e verifica, ritornando se necessario indietro e modificando strategia e approccio al problema. Si tratta di una risorsa ovviamente molto utile a scuola, ma anche molto apprezzata nel mondo della produzione culturale.
C’è però uno scotto cognitivo da pagare: a differenza di quando lo verghiamo con carta-e-matita, la nostra digitazione di un testo, ad esempio, non genera un prodotto materiale, immediatamente identificato e distinto dagli altri e duraturo; per ottenere questo risultato dovremo “salvare” (archiviare) quanto abbiamo elaborato sul supporto digitale.
L’immaterialità caratteristica del digitale, che ne consente la perenne modificabilità, la potenziale riutilizzabilità, la rapidissima riproducibilità, ha “scisso” in due un’operazione che la tradizione tecnologica e l’abitudine cognitiva ci hanno consegnato come coincidenti, la produzione dei dati intellettuali e la loro traduzione in un oggetto connotato e riconoscibile. Questa caratteristica, come già accennato, è di tipo generale: l’abbiamo applicata ad un testo, ma riguarda la quasi totalità degli oggetti generabili e fruibili negli ambienti digitali. L’immaterialità è infatti la condizione e la risorsa fondamentale della polifunzionalità del computer, che, a seconda di quanto di volta in volta l’utente mette in moto scenari differenti, in cui compiere macro-operazioni diverse nello scopo ma identiche sotto il profilo di quanto appena analizzato: si pensi a un software di ritocco fotografico, che permette di modificare l’immagine originaria con un numero pressoché immutato di varianti e di conservare ciascuna di esse, ma anche a molti videogiochi.
Attività simulate
I videogiochi mi consentono di ragionare anche su alcune connotazioni del concetto di simulazione.
Al giorno d’oggi si può addirittura giocare il calcio immateriale sfidando via Internet una persona residente in un punto qualsiasi del mondo e visualizzare il flusso digitale sul medesimo televisore utilizzato per guardare una partita “reale”; la sola richiesta cognitiva è comprendere come operare affinché gli attori virtuali agiscano nei modi tipici dell’ambiente materiale che il gioco riproduce. Si dovranno quindi imparare le proprietà tipiche degli elementi che lo compongono – da come muovere sul campo i propri giocatori a come colpire il pallone, a come contrastare le azioni degli avversari e così via.
Il videocalciatore rappresenta una sorta di paradigma di un approccio sostenibile ed efficace a un ambiente digitale:
- si accosta al gioco (all’ambiente) perché ne ha compreso lo scopo generale ed ha un’idea di massima dei processi implicati, in corrispondenza con le situazioni operative, le azioni, le relazioni causa-effetto e così via, della realtà materiale di riferimento;
- è consapevole del fatto che acquisirà autonomia (diventerà forte nel gioco) solo progressivamente, ma che può fruire in modo soddisfacente dell’ambiente fin da subito, a patto che accetti il proprio ruolo (evitando di affrontare avversari troppo abili, ma anche ricorrendo alla consultazione di giocatori più validi o accettando errori e sconfitte), senza pretendere il pieno controllo, senza imporsi la perfezione come prerequisito per iniziare e senza mai pensare, di conseguenza, di delegare il compito a qualcun altro più esperto, pena la rinuncia all’azione in prima persona, al divertimento;
- sa che cambiando gioco porterà con sé alcune acquisizioni, ma dovrà anche preventivare un nuovo percorso di adattamento;
- costruisce la propria autonomia progressivamente, esplorando e comprendendo gli oggetti a disposizione, le loro proprietà specifiche, le procedure e le azioni attivabili, le relazioni e i rapporti possibili tra i diversi elementi.
L’ approccio cognitivo dei videogiocatori è applicabile non solo ai giochi, ma ad ogni “nuovo” ambiente digitale, anche assai complesso e dinamico; il suo segreto sono chiarezza dell’obiettivo generale e presa di possesso progressiva: insomma, un atteggiamento esplorativo. In altre parole, il segreto è accettare di essere costantemente in situazione di apprendimento.
Interfacce visive e processi cognitivi
Abbiamo già dimostrato nella precedente puntata l’importanza cognitiva della scelta di standardizzare le componenti visive dell’interfaccia grafica su cui si fondano tutti i principali sistemi operativi destinati a non specialisti e, di conseguenza, tutti i diversi programmi. È proprio l’interfaccia a richiedere e contemporaneamente a consentire all’utente di mettere in campo la propria capacità di assegnare senso e significato, in un continuo processo di assimilazione significativa e in una continua dialettica tra pensiero riflessivo e pensiero riflesso, tra interpretazione ed uso degli inviti operativi ricevuti, condizioni e passaggi di un progresso e di un incremento dell’autonomia personale dell’utente.
L’analogia – il principale meccanismo su cui è costruita l’interfaccia grafica – si sviluppa per altro su due versanti:
- analogia di primo livello, direttamente con la realtà materiale: un word processor offre a chi lo usa una sorta di foglio simile a quelli di carta, con la differenza che non ha limitazioni verticali e facciate; i files cancellati finiscono in un cestino virtuale;
- analogia di secondo livello: un editore di pagine per Internet residente sul nostro computer, ma anche un qualsiasi programma per la posta elettronica o un blog, propongono uno spazio di lavoro simile a quello di un word processor, salvo il fatto che qui la destinazione primaria del prodotto non è la stampa su carta, la restituzione alla materialità. Il programma di posta elettronica, per altro, contiene anche analogie di primo livello, dal riferimento generale alla posta all’uso di icone quali buste, buche delle lettere e così via.
L’intreccio delle attività realizzabili su di una macchina polifunzionale è insomma molto ampio e, come è sotto gli occhi di tutti, potentissimo sul piano operativo: analogia e potenzialità visive dell’interfaccia potenziano in modo straordinario le capacità di rappresentazione, per cui l’elaborazione si estende anche alla manipolazione di concetti secondo strutturazioni anche molto ampie ed articolate – si pensi agli ambienti per la schematizzazione[2].
Sarebbe però del tutto sbagliata la riduzione del lavorio cognitivo di un buon utilizzatore di un computer a interfaccia grafica alla soluzione di problemi che lo coinvolgono esclusivamente sul piano percettivo e motorio.
Già il ragionamento sul profilo del videogiocatore ha in qualche misura chiarito questa affermazione. Rivolgiamo ora la nostra attenzione all’uso del mouse, in modo da costruire un riferimento più esplicito e con valore generale: il mouse è stato concepito dai suoi inventori come prolungamento immateriale del dito indice, attingendo dalla vita materiale la nostra capacità di indicare oggetti e, soprattutto, di pigiare pulsanti per attivare azioni; il suo uso ci richiede però, nella dimensione immateriale conferita dal digitale alle nostra attività, di mettere in moto, soprattutto di fronte alle novità, ai nuovi elementi, ai nuovi inviti operativi, alle nuove proprietà di un oggetto, alle nuove procedure e così via, continui procedimenti logico-ricostruttivi, i soli utili per metterci nelle condizioni di capire e senza i quali il nostro dito virtuale (o anche materiale, nel caso delle tecnologie di touch screen) non sarebbe in grado di compiere movimenti e azioni davvero significativi.
L’uso autonomo di un computer a interfaccia grafica per non specialisti (definizione di ciò su cui stiamo ragionando che mi sembra completa) non ci richiede affatto di memorizzare infinite sequenze di pressioni su oggetti inerti, ma piuttosto di capire di volta in volta quali sono le caratteristiche, le offerte operative e le richieste interpretative dell’ambiente e degli oggetti iconici che lo compongono, in termini funzionali generali, e soprattutto nei dettagli.
Non tecnica ma risorsa intellettuale
Per esemplificare ulteriormente un’analisi rigorosamente centrata sugli aspetti cognitivi rivisito in conclusione anche il concetto di link, collegamento tra informazioni ottenuto agendo con il mouse su una zona visivamente marcata in modo particolare. Troppo spesso il link è descritto in modo riduttivo, assumendo un punto di vista esclusivamente tecnologico, che si preoccupa soltanto di saper fare in modo che, di volta in volta, una sezione di testo o un qualsiasi altro oggetto digitale o un suo frammento diventi attivo, “cliccabile”.
Voglio invece descrivere il link dal punto di vista culturale, ovvero come risorsa intellettuale e cognitiva.
Ciò che ci interessa, infatti, non è il link in sé, ma la possibilità di una scrittura e più in generale di una elaborazione comprendenti questa possibilità di collegamento attivo tra informazioni collocate in fonti diverse, ovviamente soprattutto sulla rete Internet: siamo di fronte ad un modello compositivo nuovo rispetto alla tradizione libraria, fondato sull’inserimento oltre che di rimandi anche di richiami. Nello scrivere un testo digitale -e più in generale nell’elaborare materiali destinati al supporto digitale- abbiamo insomma a disposizione una modalità di tessitura informativa nuova: alla tradizionale possibilità di integrare, approfondire, spiegare, chiosare e così via i propri materiali culturali con riferimenti espliciti (rimando) ad altri, si affianca quella di rendere tali riferimenti attivabili (richiamo) a scelta del fruitore, appunto con una semplice pressione sul mouse. Ed è evidente che, se non utilizzati in modo fine a se stesso o come inutile vezzo esornativo, richiami e rimandi arricchiscono le modalità di costruzione dei percorsi culturali sia dell’autore sia del fruitore di un prodotto culturale digitale.
Su Internet per approfondire
Concetto |
Sito di riferimento |
Usabilità |
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Web 2.0 |
http://www.dynamick.it/web-20-una-definizione-in-10-punti-534.html |
Planeta web 2.0. Inteligencia colectiva o medios fast food? (in Spagnolo) |
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Traduzioni parziali di Planeta web 2.0 |
[1] Cfr. Marco Guastavigna - No, non è tecnologia ma una questione mia 1 – Insegnare, 4, 2007
[2] Un’ampia recensione di questo tipo di software è contenuta in Marco Guastavigna. “Graficamente. Modelli e tecniche per rappresentare, elaborare, apprendere”, Carocci, 2007